Un ballo in maschera, da Stoccolma a Boston. Parte I

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Ricordando il 210° dalla nascita di Giuseppe Verdi

Un ballo in maschera, da Stoccolma a Boston

di Claudia Antonella Pastorino

Per ricordare e onorare il 210° dalla nascita di Giuseppe Verdi (1813-1901), ho scelto Un ballo in maschera, l’opera più bella della sua produzione centrale, quella tra la Trilogia (Rigoletto, Il Trovatore, La Traviata), i rifacimenti e i nuovi titoli che chiuderanno il ciclo di una gloriosa attività (La forza del destino, Don Carlo, Aida, Otello e Falstaff). In queste colonne viene ripercorsa la sofferta genesi a causa dei problemi con la censura presente negli Stati italiani di allora e le difficoltà da parte del compositore d’imporre i suoi inoppugnabili concetti teatrali, rivelatisi sempre infallibili per la riuscita dei soggetti scelti. Poiché un regicidio in scena non era ammesso, la storia del re svedese Gustavo III – assassinato nel 1792 durante un ballo mascherato – verrà spostata a Boston alla fine del XVII secolo e il re diventerà il Conte Riccardo. Dopo molte diatribe soprattutto con Napoli, cui l’opera era inizialmente destinata, arriverà l’andata in scena al Teatro Apollo di Roma il 17 febbraio 1859. Non era un soggetto nuovo, essendo già stato riproposto anni prima da Daniel Auber e Saverio Mercadante, ma Verdi seppe farne una novità assoluta, con una carica vitale e dinamica mai profusa prima. Tutto l’intreccio è mozzafiato e musicalmente principesco, ricco di colpi di scena che la caparbietà del compositore non permise di manipolare, in barba a tutte le censure del mondo.

 

Immagine: Carnevale veneziano e maschere – Lorenzo Tiepolo

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