Souvenir

a cura di Lorella Barlaam

Immagini: Stefano Tonti, Tre souvenir grafici – Altezza Duomo

 

souvenir ‹suvnìir› s. m., fr. [dal lat. subvenire «venire in aiuto»]. – Oggetto che si riporta, come ricordo, da una località in cui si è fatto un viaggio: un s. di Londradi Parigidel Cairoun negozio di souvenir (o di souvenirs, come si vede spesso scritto come insegna di negozî).
(Dizionario enciclopedico Treccani)


Se un uomo in sogno attraversasse il Paradiso e gli dessero un fiore come prova d’esserci stato, e al risveglio si trovasse con quel fiore in mano….e allora? (J.L.Borges)

Aracne #1-2013 secondo la linea redazionale di attacco dei diversi linguaggi artistici e culturali da inedite prospettive si propone di indagare l’oggetto-Souvenir quale crocevia di relazioni.
«Al pari del ramoscello secco descritto da Stendhal in De l’amour (che, lasciato per qualche tempo nelle miniere di salgemma di Salisburgo, si ricopre di splendidi cristalli, quale allegoria delle qualità che l’immaginazione proietta sulla persona amata), qualsiasi oggetto è suscettibile di ricevere investimenti e disinvestimenti di senso, positivi o negativi, di circondarsi di un’aura o di esserne privato, di ricoprirsi di cristalli di pensiero o di affetto o di ritornare un ramoscello secco, di arricchire o impoverire il nostro mondo aggiungendo o sottraendo valore e significato alle cose» scrive Remo Bodei.
E il Souvenir ci è sembrato una scelta quasi obbligata per una rivista che – navigante del world wide web – pure ha la sua àncora in quella Rimini che «è tutto», come ne scriveva Tondelli. E che forse è un po’ anch’essa un Souvenir, se ammettiamo con Duccio Canestrini che questo non sia che «artificiosa concentrazione di senso che corrisponde alla concentrazione delle esperienze vissute durante la vacanza.»

A dar retta al sub-venire dell’etimologia, nella natura del Souvenir starebbe il “fare da spalla” alla memoria dell’esperienza vissuta, una sineddoche del genius loci che attira nel suo campo il territorio da cui proviene e di cui si costituisce microcosmo maneggevole. Rischiando però, nell’era della “perdita dell’esperienza” e del turismo come consumo di massa di diventare l’icona stessa di questa deprivazione. E finendo per rivelare lo scadimento del contatto con l’altro: «con il turismo in qualità di levatrice, la memoria culturale partorisce il proprio oblio», ammonisce Maurizio Bettini, e «messa di fronte alle più grandi meraviglie della terra, la schiacciante maggioranza dell’umanità si rifiuta oggi di farne l’esperienza: preferisce che, a farne l’esperienza, sia la macchina fotografica» aggiunge Giorgio Agamben.

Ma non basta. Il Souvenir si dispone anche come una serie eterogenea di oggetti dallo statuto contraddittorio, che attivano una ragnatela di corrispondenze storiche, antropologiche, estetiche, psicoanalitiche, con una bibliografia di riferimento frammentaria e trasversale.

Oggetti che «sembra contraddicano alle esigenze del calcolo funzionale per rispondere a un diverso bisogno: testimonianza, ricordo, nostalgia, evasione. Si è tentati di vedere in essi la sopravvivenza dell’ordine tradizionale e simbolico», come chiosa Jean Baudrillard.

Perché noi, spiega Remo Bodei, «investiamo intellettualmente e affettivamente gli oggetti, diamo loro senso e qualità sentimentali, li avvolgiamo in scrigni di desiderio o involucri ripugnanti, li inquadriamo in sistemi di relazioni, li inseriamo in storie che possono ricostruire e che riguardano noi o altri» e «investiti di affetti, concetti e simboli che individui società e storia vi proiettano, gli oggetti diventano cose.»

La nostra domanda di partenza potrebbe essere quella così formulata da Bodei: «Come si passa dall’indifferenza o dall’ignoranza di qualcosa al pensarlo percepirlo e immaginarlo come dotato di una pluralità di sensi, capace di emanare da sé i propri significati?» Noi l’abbiamo estesa alla comunità virtuale dei lettori, con un open call diffuso sul web e social network. Ne è venuta fuori una mappa reticolare con i cinque “snodi” indicati nel nostro Indice, che resta tuttavia aperta ad ulteriori contributi.
La prima sezione della rivista intreccia quindi la storia del Souvenir con quella del turismo, dal Grand Tour sette/ottocentesco di cui scrive Katia Policardi all’era del Web 2.0 che indagano Ariela Mortara e Viviana Clavenna. Che spiegano: «Il souvenir è sempre stato, assieme alle cartoline e alle fotografie, un’indispensabile aggiunta all’esperienza turistica. Sia che l’acquisto sia effettuato per sé stessi, come testimonianza tangibile del viaggio appena effettuato – e in questo senso capace di reiterare le emozioni che il viaggio stesso è riuscito a suscitare – sia che venga portato in dono a chi è rimasto a casa, l’oggetto ricordo ha sempre rivestito un ruolo fondamentale nell’ambito della vita del turista.»

Anche le Sante Reliquie, che consentivano di mantenere il contatto con il sacro, hanno avuto la loro deriva nei gadget del merchandising santuariale, in una sorta di sacro prêt-à-porter. E «l’assimilazione del viaggio turistico al devozionale può sorprendere, ma non è del tutto fuorviante.» L’affermazione di Duccio Canestrini, che ipotizza a partire dai pellegrinaggi medievali una sorta di odierna “religione delle vacanze”, ci introduce alla seconda sezione. Se «il souvenir devozionale esprime un omaggio alla dimensione sovrannaturale e sta a riprova di un’avvenuta comunione», Elena Canini ne esplora la valenza esotica attraverso il caso dei reliquiari buddhisti in vetro.

La terza sezione, “Feticci e microcosmi”, ragiona sui Souvenir che ci mantengono in contatto con quell’altrove che è il tempo vissuto. «Costruire la propria storia – scrive Giovanni Starace, – significa dare ordine alle coordinate interne della propria vita, alla propria identità personale» e «nei momenti in cui si raccolgono testimonianze della propria storia, si sta facendo opera autobiografica. Gli oggetti, i più disparati, sono gli agenti principali di questo processo.»

Come ben racconta Simona Segre Reinach nel suo memoir dagli anni ’70 attraverso tre “fermo immagine”, correlativi oggettivi di un’educazione sentimentale. Mentre il souvenir «delicato e intimo (che) viene donato all’analista come congedo» di cui scrive Rosita Lappi «è un fine indicatore del tempo, contiene simultaneamente il tempo vissuto, di cui diviene il testimone, e il tempo futuro in cui ci accompagna» , e «si fanno portavoce dell’esperienza vissuta» anche i souvenirs che restano una volta concluso “quel viaggio chiamato amore”, che Chiara Biondi interroga.

La tonalità estetica del Souvenir, quella delle “buone cose di pessimo gusto” di Gozzano, è senza dubbio il Kitsch. La nostra quarta sezione prende le mosse da «questa infima forma pseudoartistica che comprende – tanto per fare qualche facile esemplificazione – i nanetti in cotto dei giardini, le false statue classiche gettate in cemento, i curios comprati dai turisti a Venezia o San Marino, e giù tutte le peggiori canzoni di San Remo, i filmetti rosa, i romanzi d’appendice, i fumetti fotografici, le canzoni di consumo…)» come scrive Gillo Dorfles. Fermo restando che «classe e raffinatezza non sono, del resto, valori assoluti, ma appartengono all’epoca nella quale si vive», puntualizzano Fabio Casagrande Napolin e Gianluca Meis di Eversione Estetica, esortandoci a una conversione sulla… “via del damascato” che apre al camp. Perchè, al di là del divertissement godibilissimo, rivendica in quest’epoca di confusione e smarrimento ideologico un omeopatico «riutilizzo del superfluo inutilizzabile – e spesso inguardabile» per «combattere il male con il malefico, il brutto con il bruttissimo.» Mentre Marcello Tosi ci guida in un tour attraverso le Wunderkammer alla romagnola, ovvero le collezioni, le raccolte, i piccoli musei che punteggiano il nostro territorio dove «l’accumulo di tutto quanto fa valorizzazione di identità, tradizioni e realtà locali» in una sorta di “souvenir-mess” vien servito in salsa glocal.

È la rilettura ironicamente postmoderna dei souvenir più ‘tipici’ da parte del grafico Stefano Tonti che caratterizza l’home page di questo numero, salutare gioco di scarto dall’ovvio.

D’altronde «non stupisce che l’interesse per gli oggetti della cultura di massa degli artisti pop di tutte le generazioni si materializzi talvolta nella creazione ex-novo di souvenirs che (…) ostentano gli stilemi del prodotto seriale», commenta Sara Ugolini.
Così che la nostra quinta sezione si interroga su quella che potremmo chiamare la ‘souvenir-ness’ della produzione artistica contemporanea. Dove, come accade per le shadow boxes di Joseph Cornell, «il souvenir può intendersi come traccia di un viaggio soprattutto interiore, che rifiuta di identificarsi con un oggetto stereotipato se non volontariamente, per intento poetico» continua Sara Ugolini. Mentre Alessandra Casadei, nel suo studio intorno alle Photo-souvenir di Daniel Buren, si interroga sul rapporto tra fotografia e opera rappresentata, tra il qui ed ora dell’esposizione, con la sua aura, e la riproduzione che ne conserva memoria: «quel che è delicatamente offerto nel lavoro, a rischio di essere ignorato, di passare inosservato, qui si impone.

Quel che si nasconde qui è esposto. Ecco la foto che si “ricorda” e che ci rimanda al suo ricordo.» Un photo-rappel, secondo le parole di Buren, che rischia però di cancellare il soggetto sovrapponendovisi e, facendogli da schermo, divenire una foto-oblio (photo-oubli).

Infine, tra artcraft e poesia, i gioielli di faïences, souvenir rinascimentali di Emanuela Agnoli chiudono il nostro percorso, in un’ideale congiunzione tra l’artigianato d’arte che alimentò la fame di Souvenir del Grand Tour, e le espressioni più sensibili dell’arte contemporanea.

Ed è nelle Lettere Luterane di Pier Paolo Pasolini che ci pare di intravedere una direzione di senso complessiva: «Ma se negli oggetti e le cose le cui immagini mi sono rimaste fisse nel ricordo, come quello di un sogno indelebile, precipita e si condensa tutto un mondo di “memorie” che da quelle immagini è rievocato in un solo istante, se cioè quegli oggetti e quelle cose sono contenenti dentro cui è raccolto un universo che io posso estrarre da essi e posso osservare, al tempo stesso quegli oggetti e quelle cose sono qualcos’altro che un contenente. Sono, appunto, dei segni linguistici.»

Citazioni da: Giorgio Agamben Infanzia e storia Einaudi; Jean Baudrillard Il sistema degli oggetti Bompiani; Walter Benjamin Figure dell’infanzia , a cura di Cappa F., Negri M. Cortina ed.; Maurizio Bettini Contro le radici il Mulino; Remo Bodei La vita delle cose Laterza; Duccio Canestrini Per un’antropologia dei souvenir Bollati Boringhieri; Gillo Dorfles Le oscillazioni del gusto Skira

Lorella Barlaam ha frequentato la facoltà di Lettere classiche a Bologna. Scrive su Chiamami Città e altri periodici, svolge lavoro di addetta stampa e redazionale freelance. Ha collaborato con il Laboratorio Stabile Alcantara, con la Biblioteca Gambalunga di Rimini per le varie edizioni della “Biblioterapia”, con il Teatro Valdoca per la rassegna “Ciò che ci rende umani”. Ha pubblicato “In corpore vili. Anatomia di una lettrice” (Guaraldi, 2010). Mail: barlaam@hotmail.it

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