Verso il Centenario Pucciniano. Manon Lescaut, rivoluzione dell’ultimo Ottocento

 In L’incontro delle Arti, Rubriche

 

Un libretto a troppe mani
Da Massenet a Puccini: opera italiana da grand-opéra o da opéra-comique oppure nessuna delle due? La Manon Lescaut
è un caso a sé nell’ambito della produzione pucciniana. Nonostante la grandezza delle consorelle che l’hanno seguita nel tempo, è la prima perfezione del compositore lucchese e ha una fisionomia unica, carica di un linguaggio variatissimo, sensuale e dannato a un tempo. Meritò il trionfo, il 1° febbraio 1893 al Teatro Regio di Torino, con trenta uscite del Maestro alla ribalta e la certezza del primo grande successo che non sarebbe stato l’ultimo, eppure resta ancora oggi opera contraddittoria, sempre discussa per la sua sconvolgente novità che non ha più nulla dei modi tradizionali del melodramma. Discontinua, come se soffrisse di allucinazioni, di febbri in salita e in picchiata, non convince un critico della statura di Massimo Mila, per il quale è opera che “non sta in piedi”.
Ma Mila era avvezzo ai grandi respiri verdiani, al rigore e alle regole del melodramma del secondo Ottocento, all’ordine costituito dei caratteri dell’opera nobile fatta di teste coronate, eroi, fanciulle illibate, sacrificio, amori contrastati, sentimenti a tutto spiano (patria, famiglia, amore romantico, onore e dignità fino alle estreme conseguenze), pochi vizi spettanti al cattivo di turno o a qualche personaggio di contorno. . . .

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