TANCREDI PARMEGGIANI. In memoriam. Considerazioni personali sul suicidio

 In Raccordi, Rubriche

Gli eroi son tutti giovani e belli…
Guccini, “La locomotiva”

Ho sentito dire in tempi recenti che il suicidio di Tancredi Parmeggiani, avvenuto nella notte del 27 settembre 1964 quando si gettò nelle torbide acque del Tevere, era dovuto ad una presunta consapevolezza di essere arrivato ad un punto insuperabile della propria produzione pittorica. Ovvero, che il drammatico gesto di togliersi la vita fu una specie di disperata resa dei conti con il proprio talento, che aveva irrevocabilmente dato il meglio di sé, prosciugandosi infine nella stagione dei Diari Paesani e dei Fiori dipinti da me e da altri al 101%. Davanti al pittore, già consacrato dalla Guggenheim quale artista europeo per nulla inferiore al gigante americano Jackson Pollock, si sarebbe stesa così una landa fredda e desolata, dove aveva ormai perso la sua personalissima partita con la morte, allegoria intimata da un celebre film del 1957 che sicuramente Tancredi conosceva, Il settimo sigillo di Ingmar Bergman.
Di questa tesi sono poco convinto. Ipotizzare di poter sondare le motivazioni altrui di fronte a scelte così estreme, specie di personaggi “storici” non conosciuti personalmente e lontani nel tempo, è un azzardo che alcuni possono trovare seducente o accattivante, ma che personalmente reputo sterile se non fuorviante. Credo possa essere più fruttuoso individuare e mettere in relazione signs of the times: eventi, circostanze, dati storici, sociali e personali che delimitino un contesto esistenziale, anche se parziale. In questo caso, vorrei rivisitare alcuni aspetti del contesto in cui è vissuto Tancredi Parmeggiani – artista che sappiamo essere stato, dai suoi stessi scritti, un uomo “impegnato”, un uomo decisamente del suo tempo.

 

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