L’unica operina di Giovanni Pascoli. Il sogno di Rosetta, l’orgoglio musicale di un poeta
Giovanni Pascoli, il poeta delle tenerezze e del sogno, della campagna e del latino, evoca sempre dentro di noi delle atmosfere che continuano ad incantare e suggestionare, nonostante la tendenza a un nuovo simbolismo di un Novecento visionario e irrazionale da una parte e ad una metodologia della critica e dell’arte ancora legata al vecchio Ottocento dall’altra. Pascoli rimane ancora adesso un’eterna contraddizione per l’immensità della sua migliore poesia e la parte della sua più tarda produzione onestamente meno riuscita: quando si fa prosatore o retore o pedagogo o storico o saggista o critico, l’artista rimpicciolisce, annaspa e si rivorrebbe a gran voce il poeta. Questi limiti si acuiscono e si scontrano immancabilmente davanti alla prospettiva di fare teatro musicale servendosi di un proprio testo poetico, come se bastasse mettere in musica delle parole e rappresentarle: questa però è improvvisazione, anzi illusione, perché anche davanti agli ingegni più illustri della letteratura la migliore volontà di realizzare un lavoro musicale può naufragare miseramente. . . .