Assenza, più acuta presenza

 In Ricerche

Nella parola absentia il sum è stornato dall’ab che marca l’allontanarsi da un punto. Una partenza, ancora un essere ma altrove. E’ in absentia che nascono metafore. “In absentia” nel 2008 era il nome del progetto di Maurizio Giuseppucci per le pagine immateriali di “Rapporto Confidenziale”, rivista di cinema on line: quattro dittici che coglievano “le immagini cinematografiche nel loro disfarsi”, icone dell’evanescenza della memoria, dell’impermanenza dell’essere. “In absentia” – oggi – è il titolo della mostra antologica che ci accoglie nella Wunderkammer dell’artista riminese, luogo in cui l’aura sottratta viene restituita, si legge e si vien letti, pietas e Beruf si trovano accanto. Due momenti diversi, in tensione dialogica attraverso il tempo. Lo stesso titolo. Un’indicazione polisemica che, raccogliendo le suggestioni etimologiche (l’allontanarsi crea il vuoto che attrae altro significare?) sembra alludere al contempo al significante, all’autore, al soggetto, al corpo evocato attraverso l’ombra e il simulacro, alla nostalgia d’infanzia, all’essenza stessa del ritratto, della fotografia, del fotogramma… «in absentia è un’espressione giuridica utilizzata nel mondo anglosassone e si riferisce in particolare allo svolgimento di un processo, alla possibilità di esprimere un giudizio, emettere una sentenza in assenza dell’imputato» chiosa Giuseppucci.

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