AUTORITRATTO, UN TESTO FONDAMENTALE DI CARLA LONZI
Carla Lonzi, Autoritratto, et.al edizioni, 2010 (R. L.) Questo libro affascinante e strano, edito nel 1969 e introvabile fino ad oggi, ha una nuova edizione per i tipi di et.al. Nelle spire labirintiche del testo, costruito attraverso interviste ad alcuni artisti degli anni sessanta (Carla Accardi, Getullo Alviani, Enrico Castellani, Pietro Consagra, Luciano Fabro, Jannis Kounellis, Salvatore Nigro, Giulio Paolini, Pino Pascali, Mimmo Rotella, Salvatore Scarpitta, Giulio Turcato, Cy Twombly) è depositato il vivere quotidiano degli artisti e la riflessione sul senso del proprio lavoro e della propria esistenza. Il libro è un ampio, complesso, ondivago testo spiraliforme, composto di un puzzle di conversazioni colloquiali, raccordate fra loro dal curatore senza soluzione di continuità, come un unico braim storming esistenziale. “Autoritratto”, nel senso che ciascun artista parla di sé in prima persona; la cordialità del discorso consente una vasta immersione nel panorama dell’arte contemporanea e nel vissuto dei suoi protagonisti. Nella prefazione al testo, Lonzi pone la questione fondamentale che l’ha portata a comporre questa scrittura, una riflessione sulla presenza del critico e sulla sua funzione nel mondo artistico contemporaneo. L’opera d’arte è stata sentita da Lonzi, ad un certo punto, come una possibilità di incontro, come un invito a partecipare rivolto dagli artisti a ciascuno di noi, così che “l’atto critico viene a far parte della creazione artistica”. La nostra società ha partorito una assurdità quando ha reso istituzionale il momento critico distinguendolo da quello creativo e attribuendogli il potere culturale e pratico sull’arte e sugli artisti. Senza rendersi conto che l’artista è naturalmente critico, implicitamente critico, proprio per la sua struttura creativa. E’ fuor di dubbio che l’acuta lettura della questione critica che Lonzi va facendo in quegli anni si riverbera nelle sue difficoltà personali in merito al suo compito nel mondo dell’arte, sentendosi non legitttimata in quanto “non artista”. Conclude Lonzi la sua presentazione con una osservazione che apre uno spiraglio sulla questione soggettiva, sul come intendere il proprio posto nell’arte: “Cercare di appartenere a un fare artistico e vedere crollare il ruolo di critico è stato un tutt’uno. Cosa rimane, adesso che ho perso questo ruolo all’interno dell’arte? Sono forse diventata artista? Posso rispondere: non sono più un’estranea. Se l’arte non è nelle mie risorse come creazione, lo è come creatività, come coscienza dell’arte nella disposizione al bene.” A partire da questa considerazione, Lonzi prenderà una risoluzione di grande coerenza e di chiarificazione del percorso che avrebbe poi affrontato: abbandona la critica artistica e si occuperà di femminismo militante, diventando una delle voci più autorevoli della coscienza femminile e della ricerca sul femminile del decennio successivo. Oggi assistiamo ad una piena consapevolezza critica degli artisti sul proprio fare arte sulla scia delle intuizioni di Lonzi, ma si è imposta un’altra figura estremamente dinamica e sottilmente, ma talvolta platealmente, autoreferente, quella del curatore, che si propone come collettore creativo delle risorse artistiche, intervenendo solo in parte con gli strumenti della critica.