Tra segno e sogno

 In Raccordi, Rubriche

“Le loro stesse mani, pur immerse tra ghiacci e lo sgomento del buio
e del silenzio, si indussero a impugnare spezzati di ematite e d’ocra gialla
iridescenti gessi di argille, carbone tratto dal bruciar dei legni, ad impugnare
utensili di roccia per graffire e inondare di colore gli anditi di riparo
mutandoli in santuari ove cantare lo stupore del mondo e i desideri…”
L. Mariani, Io nacqui

Nella poesia Io nacqui di Lucio Mariani, qui citata, si finisce per evocare “…la misteriosa fantasia che armò / la selce colorata e dette fuoco alla caverna / tracciando puri segni di fieri combattenti / alci e bisonti.” Si parte, dunque, dal segno. Puro. Nasce col puro segno la nostra avventura umana, nelle grotte di Lascaux e Pech Merle. Da quel “graffire”, dall’impulso primigenio – caotico e magmatico – di incidere la roccia ha origine un momento fondante della nostra evoluzione, del nostro destino planetario al contempo sanguinario e sublime. Il segno come traccia, come lettera; come primo ambizioso tentativo di evincere forme, e rappresentare; come passaggio e vincolo tra consimili, resi compartecipi di un mistero che ne decreta, infine, la dimensione sociale e comunitaria. Per arrivare ad un effluvio di colore che trasforma, nei meandri del tempo e dello spirito, la caverna e le prime, pietrose tele delle sue pareti in santuario, “ove cantare lo stupore del mondo e i desideri.” Il segno, quindi, come nota originaria di un canto collettivo perennemente in divenire, embrione del simbolo, preludio della stessa voce, espressione sublimata e anteriore dell’umano stupore e del desiderio…

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