Il Diario di Kaspar Hauser
Il 7 aprile esce in libreria, per i tipi delle Edizioni Mondo Nuovo di Pescara, Il Diario di Kaspar Hauser di Paolo Febbraro. Il volume abbina l’edizione riveduta e aggiornata del testo, pubblicato originariamente nel 2003, alla traduzione di Anthony Molino, premiata nel 2018 dalla Academy of American Poets – la più prestigiosa istituzione letteraria americana – quale migliore traduzione di un libro di poesia italiana in inglese. Considerato dallo storico e critico letterario statunitense Robert Zaller “un moderno capolavoro”, così ne scrive Michael Palma, illustre traduttore e poeta italo-americano, a nome della giuria dell’Accademia: “Il Diario di Kaspar Hauser immagina gli spunti e interrogativi, spesso dolorosi, di questo spirito sensibile del tutto impreparato a vivere nel mondo. In quaranta componimenti brevi e incisivi, Febbraro esplora questioni riguardanti la realtà e la sua percezione, il dubbio e l’alienazione, che riverberano a lungo ben oltre la lettura del libro. La traduzione di Molino è al contempo sfumata, ponderata e precisa; e nel rendere omaggio all’originale riesce, da par suo, nell’impresa di esistere come opera letteraria indipendente.” È in questa logica che l’Editore propone al lettore le due versioni del libro, arricchite da due splendide illustrazioni del personaggio di Kaspar Hauser dell’artista Marco Stefanucci, nella convinzione di ridare lustro, dopo vent’anni, all’opera iconica del poeta romano. Per l’occasione ARACNE è lieta di pubblicare in anteprima la “Nota dell’autore” scritta da Febbraro appositamente per la nuova edizione, assieme alle due opere di Stefanucci, ispirate da ciò che il poeta Carlo Bordini ha definito “un testo volterriano, di un razionalismo implacabile, in cui l’idiota guarda il mondo con uno sguardo allucinato e in cui la banalità delle verità più elementari assume un sapore inquietante.”
Il Diario di Kaspar Hauser nacque dopo che un caro amico, nel 1993, mi indusse a vedere il film di Werner Herzog L’enigma di Kaspar Hauser. La prima idea del libro cominciò a depositarsi sulla pagina due anni dopo, ai primi di giugno del 1995, quando la vicenda del film mi tornò in mente e innescò dei brevissimi componimenti in versi che la mia fantasia attribuì proprio al personaggio cinematografico, al tono della sua voce, alle sue pause verbali. Quando cominciai a scrivere, decisi che non avrei approfondito la conoscenza del vero Kaspar Hauser, protagonista di una vicenda reale e di diverse opere letterarie. Scelsi di far lavorare il ricordo del film dentro di me, senza disturbarlo o precisarlo. In questo modo, mi sentii più libero di fare del personaggio un’articolazione della mia mente. Ma perché il Kaspar di Herzog mi aveva tanto colpito?
Fin dall’inizio, avevo chiaro che le poesie di Kaspar avrebbero composto un “diario” e che io avrei fatto finta di averlo ritrovato in un vecchio volume e tradotto in italiano per la prima volta: un espediente letterario classico, talmente usurato da risultare inerme e quasi sorridente. Nel corso degli anni successivi, a intervalli variabili il caso mi faceva tornare nella condizione psicologica adatta, ed io scrivevo qualche altro breve componimento. Prese forma, allora, l’impalcatura narrativa del libro, composta dalla Premessa romanzesca e dall’Epilogo tragico.
Nell’anno 2000 decisi che il libro era compiuto e lo proposi a un elegante stampatore di Brescia, Giorgio Bertelli, inventore delle edizioni L’Obliquo. Mi rispose che il libro gli piaceva, che lo avrebbe pubblicato, ma che aveva una lunga lista di attesa e la mia opera avrebbe dovuto aspettare fino alla primavera del 2003. Accettai. Durante quel periodo di attesa, nel settembre del 2001 accadde che un mattino presto, fra il sogno e la veglia, emerse in me un’altra voce, che mi portò nel mio studio, ove concepii una lettera che un diverso personaggio scriveva a me, autore della supposta traduzione, svelando i propri dubbi al riguardo e illustrando la lunga tradizione letteraria del “fanciullo idiota”, del sapiente inconsapevole e disprezzato, del santo sublime e incompatibile con il buon senso.
Aggiunsi quella lettera in Appendice, e così il libro fu completo. Presto capii che – sebbene così breve – si trattava di un’operetta che affiancava, e forse univa, tutti i generi letterari, la narrativa della Premessa necessaria e dell’Epilogo, la poesia dei componimenti del Diario vero e proprio, la saggistica della lettera finale e persino la drammaturgia, dato che molte poesie del Diario in realtà sono brevi dialoghi, microscopiche sceneggiature.
Nell’aprile 2003 il libro uscì in trecento copie, cinquanta delle quali recavano un’incisione di Giulia Napoleone; ebbe buone recensioni, vinse un paio di premi, fu ristampato in qualche altro centinaio di esemplari. Ma, nonostante io sappia molte cose di quest’opera, essa è ancora un mistero per me. Grazie all’edizione spagnola di Bruno Mesa, a quella nordamericana di Anthony Molino e poi a quella francese di Michel Orcel, ho dovuto rileggerla, esprimermi sulle traduzioni, correggerne le bozze. E ogni volta ho provato un’autentica commozione. Mi hanno colpito la selvaggia mitezza di Kaspar, la sua polemica contro il senso comune, le sue diverse categorie di giudizio, la sua enorme solitudine. La sua vicenda suggerisce che la poesia è allo stesso tempo una lingua naturale e un caso psichiatrico; che nel mondo essa soccombe, ma che proprio per questo essa ci induce al suo salvataggio.
Può darsi che Il Diario di Kaspar Hauser rappresenti la mia infanzia, così appartata, introversa e capace di assorbire. Può essere che sia un romanzo, l’unico che io abbia scritto, e che racconti la storia della poesia. Forse, con il bizzarro rigore della sua architettura letteraria, questo libro mi ha consentito di essere uno scrittore in tempi difficili, in cui molti danno la letteratura per morta. Pur essendo in parte anche un personaggio umoristico, Kaspar mi ha mostrato la serietà e l’impegno che occorrono per non accettare gli elaborati fantasmi che ci vengono imposti come nomi di battesimo, e per tornare alla scabrosa semplicità dell’origine.
Per tutto ciò, sono grato a questo breve libro, e lo ripropongo con fiducia e curiosità. Ho apportato dei cambiamenti, segno che se l’opera ha a che fare con la mia infanzia, quest’ultima ha avuto il tempo di mutare. L’inglese di Anthony Molino e l’arte figurativa di Marco Stefanucci ne fanno un contenitore più ampio di quanto io potessi sospettare all’inizio. Credo davvero che di questa nuova edizione io sia responsabile, ma solo in piccola parte meritevole.
Paolo Febbraro
Roma, 2017–2022
Paolo Febbraro (Roma, 1965) ha pubblicato sei libri di versi, ora rappresentati da Come sempre. Scelta di poesie 1992-2022, edito da Elliot. Oltre a Il diario di Kaspar Hauser, apparso dapprima presso le Edizioni l’Obliquo nel 2003 e poi tradotto in spagnolo, francese e inglese, tra gli altri suoi titoli segnaliamo le prose de I grandi fatti (Pendragon, 2016) e L’arbitro parziale (Castelvecchi, 2022); e i saggi L’idiota. Una storia letteraria (Le Lettere, 2011); Leggere Seamus Heaney (Fazi, 2015); e Poesia allo stato critico (Inschibboleth, 2021). Febbraro è anche traduttore dall’inglese, di poeti quali Geoffrey Brock, Edward Thomas e Michael Longley. Di prossima uscita, sempre presso Elliot, è il suo libro di traduzioni Poeta in due. Versioni italiane.
Marco Stefanucci (Roma, 1970) è laureato in Storia dell’Arte Contemporanea presso l’Università La Sapienza. Ha esposto in Italia, Francia, Belgio, Germania, Inghilterra e Lussemburgo. La sua ricerca si concentra principalmente sulla ritrattistica ma esplora anche il mondo dell’astrazione, creando una metamorfosi fra i generi che riporta alla luce le immagini del nostro subconscio, i luoghi della nostra memoria.
Immagini:
Marco Stefanucci, L’originale della copia
Marco Stefanucci, La copia