Amore e tossicità in “Kinds of Kindness”: assurdismo lucido dell’ultimo film di Yorgos Lanthimos
Abstract
Parlare dell’amore non è mai stata cosa facile, tantomeno dare una definizione precisa di cosa esso stesso sia. Sicuramente, molto spesso è stato legato a concetti come gelosia, possesso, controllo e follia, come input di narrazioni tossiche circa le manifestazioni amorose. Nel presente contributo, mi pongo l’obiettivo di fare una riflessione su quanto questa dinamica di amore e tossicità sia presente in Kinds of Kindness, l’ultimo di Yorgos Lanthimos, andando ad indagare gli ambiti più reconditi della mente umana.
Keywords: Kinds of Kindness, Lanthimos, amore, tossicità, assurdismo
Dire con precisione cosa sia l’amore sembra già una sfida impossibile, ma oggi siamo sempre di più immersi in narrazioni di tossicità dei rapporti amorosi di vario genere. Sembrerebbe che ogni forma di amore necessiti di essere dimostrata e legittimata costantemente per far sì che se ne riconosca il valore, con il rischio di scivolare in dinamiche poco sane. Difatti quante volte ci siamo sentiti dire “se mi ami fallo per me” oppure “se mi amassi davvero lo faresti”, quasi come se l’individualità dell’altro venisse ad annullarsi per fondersi nell’altro, sottostando a comandi ed indicazioni.
“Dimmi cosa vuoi e io lo farò, tutto quello che vuoi” sono le parole dell’attrice Emma Stone nei panni di Liz, nella seconda storia del trittico di Kinds of Kindness, ultimo film di Yorgos Lanthimos, in risposta al marito Daniel in cerca di continue rassicurazioni e validazioni. Nel corso del film e delle tre declinazioni narrative l’amore è centrale, in particolare ciò che emerge è una visione molto dipendente da questo bisogno di essere legittimato per il solo fatto di esistere. Come scrive Umberto Galimberti, quando non si riesce a raggiungere l’immedesimazione con la persona amata si cade nel possesso “che riduce le possibilità di relazioni alla persona amata, fino a sacrificarla nello spazio ristretto in cui l’assillo dell’amante la circoscrive”. (Umberto Galimberti, Le cose dell’amore, Feltrinelli, Milano, 2024, p. 128.)
Gelosia, possesso, dipendenza sono solo alcuni dei paradigmi che ho potuto rintracciare nelle varie storie e questa narrazione sembrerebbe darci una visione abbastanza accurata, seppur ilare e grottesca, di come sta andando configurandosi la società e, con essa, le relazioni odierne. La violenza sembra sottostare sempre più le dinamiche di amore o presunto tale, penetrando perfino la sfera strettamente domestica, come se un sentimento vissuto in modo calmo e neutrale andasse perdendo di intensità o avesse meno valore. Lanthimos credo lo abbia rappresentato con un distacco ed una precisione impeccabili, soprattutto aggiungendovi enfasi per l’aiuto della musica che funge da analettico nei momenti di maggiore sfogo violento. Il rappresentare la violenza come uno degli elementi costitutivi della nostra società, anche attraverso scene quotidiane e semplicissime come un poliziotto ad un posto di blocco oppure una coppia in cucina intenta a preparare da mangiare, è solo uno dei numerosi segnali di quanto sia stato normalizzato il suo solo essere presente nelle nostre vite; ciò che lo rende strano ed accentuato è solo l’uso ampio dell’ironia e dei modi grotteschi di rappresentazione di queste dinamiche. Altro ricorso, molto funzionale a quella vena di assurdismo di sfondo che ho potuto rintracciare in tutto il film, è l’appiglio al mondo onirico, alla dimensione del sogno che di per sé si distacca dalla realtà, ontologicamente parlando.
L’amore è chiaramente presente in dose massiccia durante il corso di tutto il film, costruito curiosamente come un mix di elementi che si uniscono a formare un pattern ricorrente nelle varie storie, quasi prodotto da un generatore casuale con poche parole come “barca”, “incinta”, “sogno”, “uccidere”, “sesso” e “sangue”. Nonostante l’apparente mancanza di connessione tra le storie, la retorica amore/tossicità è uno dei nuclei che si intrecciano, seppur con declinazioni differenti. Uno dei fatti curiosi che mi sono saltati all’occhio è come ogni personaggio/attore di una storia diventasse vittima in quella successiva, infliggendo su altri ciò che ha subito il personaggio che interpretava nella storia che lo precedeva.
Nel corso della prima sezione, The Death Of R.M.F., la visione dell’amore che vediamo rappresentata è di natura ossessiva, psicotica, sessualmente contorta. Il protagonista, Jesse Plemons, è infatti coinvolto in una specie di gioco compulsivo con il suo capo, Willem Dafoe, tale per cui segue alla lettera tutte le sue indicazioni folli, arrivando anche ad uccidere volutamente un uomo in un incidente stradale per compiacerlo. Le dinamiche rimangono piuttosto oscure così come i motivi per cui tale gioco perverso viene messo in atto, ma resta il fatto che già nella prima storia Lanthimos ci pone davanti un insieme di elementi da collegare, una relazione in preda a regole poco logiche e assolutamente assurde.
Nella seconda sezione, R.M.F. Is Flying, quello che vediamo è una relazione fondata su dubbi, incertezze e deliri di natura psicotica, di nuovo, seppur sotto una veste diversa. Jesse Plemons inizierà a nutrire paranoie sulla natura di sua moglie, Emma Stone, tornata a casa dopo essere stata dispersa a causa del suo lavoro. La storia mette in scena le dinamiche subdole venutesi a creare dopo il ritorno della moglie che si trova ad aver cambiato alcune delle sue vecchie abitudini e finisce con il non venire riconosciuta dal marito, convinto non sia la vera moglie. Al di là delle scene esplicite e i riferimenti piuttosto ironici alla sfera sessuale, la vena assurda arriva a sfiorare limiti grotteschi affinché la Stone riesca a convincere Plemons che sia davvero sua moglie e che lo ami davvero: il culmine del delirio psicotico di lui verrà raggiunto sul finale.
La terza sezione, R.M.F. Eats a Sandwich, è quella che tocca un quasi misticismo più elevato in cui l’amore si fonde con la fede, il pentimento, l’ascesa quasi missionistica che si può desiderare nella vita. La sfera più carnale, spesso animalesca ed istintiva, si unisce bene al senso “altro” di fede, di appartenenza, di comunità, dove pur non manca l’aspetto sessuale, sempre grottesco il più delle volte. Emma Stone e Jesse Plemons qui hanno la delegazione di trovare qualcuno degno di far resuscitare i morti e, sotto le rigide condizioni imposte dai loro capi, Dafoe e Chau, continuano la ricerca spasmodica accantonando le proprie vite personali.
Questo finale è quello in cui il lucido assurdismo che anticipavo emerge maggiormente, come se non ci fosse bisogno di una cesura più impattante se non di un misero episodio quotidiano, squallido ed ordinario, a chiusura di queste microstorie. Potremmo interpretare il trittico come una critica sociale, come un faro sulle dinamiche relazionali e, perché no, come una vena ironica sulla vita stessa e le possibilità che ci apre costantemente, ma penso che nonostante le critiche ricevute Kinds of Kindness sia un esempio dell’assurdismo celato perfino nelle azioni più banali e più quotidiane. Questo dimostra anche quanto amore e tossicità spesso siano più connessi di quanto si pensa, andando ad incrementare quel senso di assurdità ed alienazione che a Lanthimos riesce molto naturale.
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Giada Salvati, classe 1999, studia Lingue e Culture per la Comunicazione e la Cooperazione Internazionale presso l’Università degli Studi dell’Aquila. Dopo aver conseguito la laurea triennale in Mediazione Linguistica e Culturale, ha avuto esperienza come giornalista ed ha pubblicato articoli su riviste intrecciando temi nel suo campo di ricerca che si muove nei confini della postmodernità focalizzandosi su: identità, corpo, genere ed effetti della tecnologia.