Gli scritti manicomiali associati all’art brut: dalla forma-sintomo alla specificità
Un problema chiamato follia
«Opere d’arte o documenti clinici?», « testi patologici o opere d’arte? » così si interrogano rispettivamente Béatrice Chemana-Steiner (2011: 159) e Anouck Cape (2011: 32) a proposito degli “écrits bruts” , cioè degli scritti asilari che oramai vengono comunemente associati all’art brut.
Molte delle opere collegabili al pensiero di Jean Dubuffet nel 1945 erano in un primo momento testi redatti da alcuni pazienti internati in asili psichiatrici (principalmente svizzeri e francesi). Vecchi scritti asilari che pongono oggi delle questioni perché non rientrano nei nostri schemi predefiniti di lettura, spesso chiusi. Per riformulare il problema: «documento clinico oppure opere d’arte» ?, dove la particella “oppure” articola due definizioni che convenzionalmente si escludono l’un l’altra. In sostanza, come un documento clinico può essere anche artistico o diventarlo del tutto? L’ipotesi che sosteniamo in questo articolo è la seguente: se alcuni scritti manicomiali sono stati trasferiti nel mondo dell’arte, non è a causa della follia del loro autore, come si è a lungo pensato, bensì in ragione della follia delle opere stesse, così come ce la fa cogliere il punto di vista della maniera (Dessons 2004 e 2010, in particolare)…
Immagine: Eugénie Nogarède, «Impérateur Etter». 1949, Losanna, Collection de l’Art Brut (fotografia di Claude Bornard)