FOLLIA E GESTUALITÀ IN ALCUNE OPERE DEL RINASCIMENTO ITALIANO E FIAMMINGO
Con l’affacciarsi del Rinascimento, nel mondo fiammingo e in quello italiano la raffigurazione della follia – metafora del vizio e dell’irrazionalità – suscitò un enorme interesse. Gli sconvolgimenti dettati dalla Riforma protestante, le lacerazioni religiose e le tensioni sociali, indurranno i fiamminghi a considerare la pazzia come un male indotto da forze sovrannaturali esterne. Nel linguaggio iconografico delle Fiandre, profondamente condizionato dai retaggi medioevali – legati al potere del mito e della superstizione – artisti come Hieronymus Bosch (Narrenschiff, 1494) e Sebastian Brant (Nemo-non/Niemand, 1558; Dulle Griet, 1563 circa), creeranno figure umane mostruose, caricaturali e deformi nel tentativo di dare voce ed esorcizzare la pessimistica concezione della vita propria dei paesi del nord. In Italia, invece, il trionfalismo rinascimentale si servirà da un lato dei lazzi e della comicità del folle-giullare, per denunciare il disordine e il caos, dall’altro considererà la pazzia come forza liberatrice e catartica, necessaria per giungere alla vera saggezza. Partendo dalle raffigurazioni offerteci prima da Bibbie, codici miniati e Salteri medioevali (Salmo 52) e poi dai Tarocchi, la carta del Matto (nei cosiddetti “Tarocchi di Carlo VI, XV secolo) definisce l’immagine frivola e derisoria del folle-buffone, a cui ben presto si accosterà la figura del pazzo melanconico e vagabondo, propria del Misero (“Tarocchi del cosiddetto Mantegna”, 1465-1475) e del Booz di Michelangelo nella Cappella Sistina (1511-1512). In quest’ottica la follia svela all’uomo italiano la sua fugacità, la mortalità, le debolezze e il dolore, portandolo di fronte a se stesso e costringendolo a considerare il corpo e le sue espressioni in relazione ai complessi moti interiori che abitano il singolo, come descritto dal Triplo Ritratto, Arrigo peloso, Pietro matto e Amon nano (1590-1600) di Agostino Carracci.
Immagine: A. Carracci, Triplo ritratto (Arrigo Peloso, Pietro Matto e Amor Nano), 1598-1600, olio su tela, 101×103 cm, Museo nazionale di Capodimonte, Napoli.