LA GRAMMATICA DEL LINGUAGGIO VISIVO. 3. Dissertazione sulla superficie: dai valori alle qualità tattili, dalla scelta all’impiego della materia, dalle textures naturali e artificiali al concetto di trama-struttura
Dopo aver viaggiato tra selezionate associazioni tonali artisti-opere con la finalità di esaltare le potenzialità espressive del colore atto a condensare e veicolare sinesteticamente moti interiori, il terzo capitolo della serie riguardante la grammatica del linguaggio visivo è dedicato alla superficie.
In seguito alla ricezione dell’eccezionale assist fornito da Marcel Duchamp, la parentesi introduttiva di carattere storico-critico di questa dissertazione si prefissa in primo luogo di precisare il concetto di valori tattili con affondi succinti sugli autorevoli Bernard Berenson, Alois Riegl e Heinrich Wölfflin per poi concentrarsi a discernere episodi decisivi relativamente alla sperimentazione artistica sulla materia, inglobando i collages di Pablo Picasso del 1912 e le composizioni di Josef Albers di ambito Bauhaus, fino ad includere la dicotomia arte minimalista/arte processuale degli anni Sessanta esplosa a New York con risonanza internazionale.
Cercando di catalizzare l’attenzione e di rendere l’argomentazione più fluida, si è pensato di organizzare il discorso per abbinamenti tematici: per analizzare le superfici naturali e quelle artificiali sono stati scelti la surrealista Meret Oppenheim e il paradossale Pino Pascali; per delineare il legame con la materia è stato coinvolto il pioneristico Alberto Burri, per il rapporto con la luce sono stati scelti gli eterogenei Costantin Brancusi, Naum Gabo e Eva Hesse, mentre per le qualità tattili sono stati annessi i radicali coloristi Piero Manzoni e Yves Klein.
Per esemplificare da un lato la texture geometrica, dall’altro quella irregolare, sono stati individuati il pittore analitico Daniel Buren e il poverista Giuseppe Penone; infine per la texture naturale, e al contrario per quella artificiale, sono stati chiamati in causa rispettivamente il contemporaneo Rowan Mersh e l’ottico-cinetico Enrico Castellani.
Appurata la dedizione degli artisti nel corso dei decenni all’uso espressivo della superficie e all’eloquenza delle textures, oggi il neoplastico Piet Mondrian può suggerire la via per ricercare la «griglia universale» tra un’armonia di linee, il poliedrico Kurt Schwitters sollecita a destinare a nuova vita innumerevoli e loquaci frammenti oggettuali e il visionario Max Ernst con il frottage (sfregamento) invoglia, a suo modo, a scoprire superfici e textures, a combinarle e a sovrapporle, per presentare paesaggi riletti e per immaginarne di irripetibili.
Avente come protagonista l’inesauribilità delle possibilità offerte dalle superfici e dalle textures, questo studio storico-artistico sottolinea l’importanza della riscoperta del tatto per conoscere e creare: oltre alle percezioni visive e alle acquisizioni cerebrali, i rimandi esperienziali e le connessioni introspettive si rivelano prolifici e significativi nell’arte come nella quotidianità.
Immagine (Collage)
– A. Pevsner, Surface développable, 1938 – agosto 1939, bronzo e rame, 52,1 x 31 cm compresa la base, Venezia Peggy Guggenheim Collection
– M. Basaldella, Senza titolo (1963 ca. considerando l’opera affine Germinazione)
– P. Mondrian, Composizione con griglia 3: composizione a losanga, 1918, olio su tela, 84.5 x 84. 5 cm, L’Aja Kunstmuseum Den Haag
– K. Schwitters, Merzbild Rossfett, 1919, assemblaggio, 17.4 x 20.4 cm, coll. privata